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Scopone arte antica

Scopone arte antica

la storia del più bel gioco del mondo

Cartonato con sovracoperta a colori, formato cm 17,5x25, pp 368 interamente a colori
ISBN 978-88-8068-704-7

Disponibile in libreria


 

Recensioni

  • La Repubblica
    Il gioco della politica al tavolo di scopone

    «Batteva con impegno le carte in osteria»: nella memoria, lontana e struggente, del necrologio di Gianni Brera per Beppe Viola le parole compongono due esatti settenari, come in un’ode. L’accanimento alle carte era uno dei dettagli di quel commosso ritratto che lo rendevano tanto più rivelatore per chi conosceva Beppe Viola solo per i suoi servizi sportivi e per i suoi pezzi su Linus. Che partita giocavano Brera e Viola? Le ipotesi possono andare dal tressette al poker, per quel che costano: ma viene piuttosto naturale pensare allo scopone scientifico, il più nobile dei giochi popolari, e viceversa. Lo scopone! Mario Soldati, che poi gli avrebbe dedicato un intero libro, lo celebrava già nel suo giovanile America, primo amore, quando al primo weekend passato a New York deprecava i chili di inserti che già negli anni Venti appesantivano i quotidiani americani, per la felicità dei loro lettori: «E trascorrono il pomeriggio nella tetra livingrorom a sfogliare, a leggiucchiare cotesteebdomadarie enciclopedie di cretinismo, annoiati, desolati ma convinti di godere il supremo benessere della nuova civiltà. Oh, gli scoponi, i tressette, le partite a voce, e i cori e i mezzi di buono che fanno la festa italiana! Quale gioia, quale sapienza e intelligenza al confronto!» Detto che le «partite a voce» erano spartizioni di vino («mezzi di buono») in ragione della vincita o della perdita al gioco, lo scopone si trova così installato con il cantare in coro al centro della concezione italianissima del tempo libero. E installato stabilmente, se nel 1972 darà il titolo a una commedia all’italiana girata da Luigi Comencini, con Alberto Sordi, Bette Davis e Silvana Mangano – e l’americana vecchissima e maligna si vendica implicitamente di Soldati vincendo e mandando in rovina gli italiani.Il libro che Mauro Tunno ha dedicato con passione e affetto al gioco (Scopone arte antica) racconta curiosità storiche e tecniche di gioco, rievocando in ogni dettaglio partite con Michel Platini, e giornalisti sportivi come Sandro Ciotti e Bruno Bernardi (che qui firma la prefazione), e reinfilando in una collana di elogi del gioco perle come i pareri di Giosuè Carducci («ditemi che non so scrivere versi, ma non mi dite che non so giocare a scopone!»), del filologo Manara Valgimigli («Logos, non tyche»; ovvero ragionamento, non caso o fortuna), di Indro Montanelli («Enzo Bettiza è un giocatore di poker e con lo stesso azzardo espresso nel gioco ribadisce le sue opinioni. Io sono invece un giocatore di scopone scientifico e uso esporre le mie idee solo a seguito di debite considerazioni»): mentre viene comprensibilmente taciuta l’opinione di Antonio Gramsci, che connette lo scopone alle «società arretrate economicamente, politicamente e spiritualmente».
    La tattica del pariglio e dello spariglio, le tecniche dei segni clandestini fra compagni di partita, la necessità mnemonica del mandare a mente tutte le mosse di una partita, la stessa pretesa – che lo storico dei giochi Giampaolo Dossena definisce «ragionevole» – di essere chiamato «scientifico» consegnano infatti il formidabile gioco a un equilibrio mai troppo ben definito fra razionalità e astuzia: in ciò dimostrandosi, se non «arretrato», tipicamente italiano.
    E non sarà allora un caso che proprio lo scopone ha occupato il tempo libero dei migliori campioni della cosiddetta Prima repubblica, ingenerando di frequente negli osservatori il dubbio che lo scopone non fosse altro che la politica proseguita con altri mezzi. Un giornalista navigato come Pasquale Nonno ha dedicato allo scopone un capitolo fatale del suo libro autobiografico Per gioco (uscito nel 1997) dove narra partite con Sandro Pertini, Paolo Mieli, e Oscar Mammì, che a sua volta ha descritto lo scopone come «gioco della politica» in un suo libro. Aneddoti e stili di gioco rivelatori che sono stati, naturalmente, rubricati con la solita divertita diligenza da Filippo Ceccarelli in diversi articoli dedicati allo scopone fra politici.
    Scoponi aerei, come quello del celeberrimo (e ora raffigurato nella controcopertina del libro di Tunno) fra Pertini, Bearzot, Causio e Zoff sul volo che riaccompagnava a Roma la Nazionale vincitrice dei mondiali del 1982. Ma anche un meno noto, ma almeno altrettanto clamoroso, scopone ad alta quota fra Pertini e Andreotti da una parte e Berlinguer e D’Alema dall’altra, diretti a Mosca per i funerali di Andropov: la coppia comunista vinse per 21 a zero, Pertini manifestò con clamore la sua inevitabile stizza e il discreto Berlinguer si rammaricò con il giovane ma già ben caratterizzato D’Alema: «Almeno qualche punto al Presidente della Repubblica potevi lasciarglielo…».
    Ciriaco De Mita ha sempre preferito il tressette, e la combinazione di tattica a carte e strategia politica in una domenica a Nusco lo aiutòa stabilire un solido canale di comunicazione con Eugenio Scalfari (che poi ebbe a raccontarlo nel suo La sera andavamo in via Veneto). Ma l’accanimento politico verso la vittoria si osservava anche in Ugo La Malfa, che già al mattino presto voleva giocare e, trovando sveglio solo il nipotino, gli aveva insegnato la scopa a due: e lo batteva, senza fare sconti e anzi riducendolo ad andare a svegliare i lacrime il padre Giorgio per farsi consolare.
    Che si tratti dunque dell’arretratezza denunciata da Gramsci – che però poteva semplicemente riprodurre la tipica incomprensione degli intellettuali verso i giochi – o al contrario di una forma avanzata, ancorché frivola, di pensiero astratto lo scopone sembra in grado di rappresentare alcune fondamentali caratteristiche nazionali. Come sanno le cartomanti e come avevano intuito Italo Calvino e Gianni Rodari, un mazzo di carte contiene un’infinità di storie possibili, storie che raccontano i più basilari fatti della vita (la caccia, la presa, la sopravvivenza, la morte). L’alleanza taciturna fra i due compagni di dirimpetto, l’azzardo di uno scarto, il ragionamento induttivo e probabilistico, il calcolo sulle mosse dell’avversario, l’obiettivo irrinunciabile della vittoria: gli impulsi che si liberano nel gioco hanno sempre relazione con quelli che appartengono alla vita cosiddetta reale.
    Sparigliate le carte nel confuso decennio che ha chiuso il secolo scorso, resta da capire quale sia il gioco odierno della politica: ammesso che i giocatori dell’antico scopone abbiano realmente chiuso la loro partita, e che le qualità a loro richieste, prima fra tutte il ripudio della fortuna a favore di una mescolanza peculiare di logica e scaltrezza, siano da considerarsi come definitivamente desuete, in un mondo apparentemente in mano agli scommettitori. (Stefano Bartezzaghi)


  • La Repubblica
    La partita del Mundial
    La scena è stata paragonata a un quadro di Cézanne. Mancano sul tavolo quattro bicchierozzi di rosso, però c’è la Coppa del mondo. Sull’aereo presidenziale dalla parte del finestrino ci sono Pertini (con pipa) e Causio (in maniche di camicia), all’interno con la giacca chiara della Nazionale Zoff e (con pipa) Bearzot. La ricostruzione di questa partita a carte è difficoltosa e non priva di contraddizioni. Erto è che la partita la propose Pertini. «Quand’era stato da noi in ritiro, ha visto che giocavamo a carte», dice Causio. «Lo scopone è una tradizione juventina, il più bravo era il massaggiatore DeMaria, un vero maestro, uno che al tavolo insultava ferocemente Trapattoni, ma dandogli del lei che è peggio, quando il Trap faceva coppia con lui. Alla sua scuola, direi bravi Furino, Bettega, io e Zoff, ma anche Platini e Boniek avevano imparato.«Facciamoci una partita», dice dunque Pertini. Ma pretende che si scinda la coppia fissa Bearzot-Zoff, due che per serietà e vicinanza di vedute si erano fusi in un nome solo (Bearzoff). È una coppia fissa, parla la stessa lingua strana, magari si fa pure i segni. Lo dice bonariamente, quindi i due furlani non se la prendono. Il capitano col presidente, e Bearzot convoca Causio. Gioverà ricordare che nel 1982 non c’erano telefonini e né playstation e dunque nei ritiri s’ammazzava il tempo giocando a carte, in genere col mazzo da 40 (scopa, briscola, tressette a prendere o ciapanò). Una leggenda metropolitana che circolava subito dopo la partita diceva: 17-16 per la coppia Bearzot-Causio, Pertini mazziere s’è tenuto di palo il settebello dispari. Non andò così. Ma il ricordo affettuoso che gli azzurri hanno di Pertini li porta a non premere molto su un tasto: il presidente era il meno allenato, o il più scarso, dei quattro. Che, sportivamente, decisero di non infierire.
    L’unica cosa certa è che vinsero Bearzot e Causio. Per lancio della spugna, fa intendere il Vecio. Zoff, contromazzo, riesce finalmente a fare uno spariglio, Pertini incautamente ripariglia e parte una vagonata di scope. Incerto è il numero di carte in mano. «Dieci», garantisce Causio. «Nove e quattro a terra», replica Zoff. C’è una bella differenza, sono quasi due scuole di pensiero, qui entra in ballo la corretta attribuzione di «scientifico», sorvoliamo. Episodio determinante? Dice Causio: «Mazziere il Presidente, io penultimo di mano. Come terzultima carta gioco un sette brutto, Pertini me ne fa due in mano e lascia girare, Bearzot ha il settebello e ci salta sopra. Pertini s’incavola e mi dice che abbiamo fatto i segni, invece ho solo bluffato e m’è andata bene. Non ricordo il punteggio finale, abbiamo vinto noi perché eravamo più forti».
    Anche Zoff non ricorda il risultato finale, ma va detto che dopo la partita nessuno degli azzurri aveva dormito. Il giorno dopo tutti sull’aereo di Pertini, atterraggio a Ciampino e pranzo al Quirinale. Pertini disse che aveva perso per colpa di Zoff. «Lo so, e ho lasciato che lo dicesse. Ma un giorno l’ho chiamato e gli ho detto con tutto il rispetto possibile: presidente, lei era di mazzo e se non si fosse ostinato a ballare sull’ultimo asso forse non avremmo perso il giro». (Gianni Mura)

Estratti



Scopone Arte Antica è un romanzo, una raccolta di tecniche di gioco, di filosofie, di enunciazioni matematiche, di memorie e di eterici racconti volti a dimostrare che ogni frammento di partita è il ritratto di un’opera che riesce a incantare nel presente come tanti secoli prima.In questo libro vi verrà svelata la storia del «più bel gioco del mondo», dalle sue origini medioevali, alle storiche partite che hanno lasciato una traccia indelebile nel tempo. Le regole di gioco, spiegate minuziosamente, sono accompagnate da numerosi consigli e suggerimenti pratici. La storia del quarantotto, il gioco dei sette e i segreti della scopa sono solo alcuni degli argomenti che vi faranno scoprire i mille volti di questo gioco straordinario. Al termine del volume è inoltre presente una sezione rivolta ai quesiti più frequenti e un intero capitolo è dedicato al calcolo delle probabilità, fondamentali per un gioco scientifico e matematico qual è lo Scopone.
Descrizioni chiare e semplici, oltre che precise e rigorose, forniscono un’immagine dello Scopone esauriente e completa, riscoprendone il suo spessore vitale, espressivo e storico.
 
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